"È ora di farla finita con tutte queste idee esaltate, bisogna tornare alla ragione. Tutto questo, l'estero e tutta questa vostra Europa, non è altro che una chimera... si rammenti delle mie parole, e se ne accorgerà lei stesso!" aveva concluso in tono addirittura indignato Lizavèta Prokòf'evna, al momento di congedarsi da Evgènij Pàvlovič.

giovedì 1 settembre 2016

I mezzadri di "Furore"


"Furore" di John Steinbeck non è solo un poderoso romanzo sociale, è molto di più. [Ne ho già parlato anche qui]
Ieri come oggi.
Neoliberismo, libera circolazione dei capitali, deregulation, dittatura speculativa e finanziaria delle banche, guerra alle classi subalterne, deprivazione, sradicamento, migrazioni (alias deportazioni), esercito industriale di riserva, dumping sociale, impoverimento generalizzato.
Se non fosse stato per il New Deal roosveltiano, le cose sarebbero andate molto peggio.... ma oggi?

"...Pa’ si rivolse genericamente al gruppo. “È dura per una famiglia mollare tutto e andarsene. Una famiglia come la nostra che aveva la sua casa. Noi mica siamo vagabondi. Prima che arrivavano i trattori eravamo gente con una fattoria.”
Un ragazzo smilzo, con le sopracciglia ingiallite dal sole, voltò piano la testa. “Mezzadri?” domandò.
“Sì, mezzadri. E prima era tutto nostro.”
Il ragazzo tornò a guardare davanti a sé. “Uguale come noi,” disse.
“Per fortuna è roba che passa,” disse Pa’. “Ora andiamo all’Ovest, ci troviamo un lavoro e ci compriamo un pezzo di terra coll’acqua per coltivarla.”


Sul limitare della veranda c’era un uomo lacero. Dalla sua giacchetta nera colavano brandelli di stoffa. La tuta di panno grezzo aveva due buchi all’altezza delle ginocchia. La faccia era nera di polvere, striata di chiaro dove il sudore aveva sciolto il sudiciume. Voltò di scatto la testa verso Pa’.
“Allora avete un bel po’ di soldi.”
“No, soldi non n’abbiamo,” disse Pa’. “Ma siamo in tanti per lavorare, e siamo tutti robusti. Lì le paghe sono buone, e se mettiamo tutt’assieme ce la possiamo cavare bene.”
L’uomo lacero aveva spalancato gli occhi mentre Pa’ parlava, e quando finì scoppiò a ridere, e la sua risata diventò una specie di nitrito stridulo. Tutte le facce si voltarono verso di lui. La risata si fece incontenibile e si trasformò in tosse. Gli occhi dell’uomo erano rossi e pieni di lacrime quando riuscì finalmente a dominare gli spasmi. “Andate all’Ovest e... oh, Cristo!” Ricominciò a ridere. “Andate all’Ovest... lì le paghe sono buone... oh, Cristo!” Si bloccò e disse in tono sarcastico: “Magari a raccogliere arance? Andate a raccogliere pesche?”.
Il tono di Pa’ era dignitoso. “Facciamo quello che ci danno da fare. Lì c’è un sacco di roba per chi vuole lavorare.” L’uomo lacero ridacchiò piano.....
...L’uomo lacero disse lentamente: “Io... ci sono stato. Sto tornando da lì”....
....L’uomo lacero si voltò verso le facce. “Me ne vado a morire di fame. Preferisco morire di fame tutt’in una volta.”...
.... Pa’ disse rabbiosamente: “Ora che hai cominciato a ragliare vai fino in fondo. Sul mio volantino c’è scritto che cercano uomini. Tu ti sei messo a ridere e hai detto che non è vero. Allora, chi è il
bugiardo?”. L’uomo lacero fissò gli occhi rabbiosi di Pa’. Sembrava rammaricato. “Il volantino ha ragione,” disse. “Cercano uomini.”
“E allora perché ti sei messo a ridere?”
“Perché non sai che uomini cercano.”
“Che accidenti vuoi dire?”
L’uomo lacero prese una decisione. “Ascolta,” disse. “Il tuo volantino quanti uomini dice che gli servono?”
“Ottocento, e per una fattoria piccola.”
“Era un volantino giallo?”
“Be’... sì.”
“Col nome del tale... tizio e caio, appaltatore?”
Pa’ infilò una mano in tasca e tirò fuori il volantino ripiegato. “Proprio così. Come lo sai?”
“Ascolta,” disse l’uomo. “È una fregatura. A quel tale gli servono ottocento uomini. Allora stampa cinquemila di quegli affari, e magari li leggono in ventimila. E magari due o tremila di loro si mettono in viaggio per via di quel volantino. Gente che non sa più dove sbattere la testa.”
“Ma non ha senso!”
“Aspetta che vedi in faccia il tizio che ha messo in giro il volantino. Lo vedrai, o magari vedi uno che lavora per lui. Sei lì che stai accampato in un fosso, tu e altre cinquanta famiglie. E arriva lui. Guarda nella tua tenda per vedere se hai ancora roba da mangiare. Se non ce n’hai più ti dice: ‘Vuoi lavorare?’. E tu dici: ‘Certo, signore. Mi fa felice se mi fa lavorare’. E lui dice: ‘Un posto ce l’ho’. E tu dici: ‘Quando comincio?’. E lui ti dice dove devi andare e a che ora, e poi se ne va. Magari gli servono duecento uomini, perciò lo dice a cinquecento, e loro lo dicono ad altra gente, e quando tu arrivi nel posto che t’ha detto ce ne trovi mille. Allora lui dice: ‘La paga è di venti centesimi l’ora’. E magari metà di quei mille se ne vanno. Ma ce ne sono ancora cinquecento che sono così maledettamente affamati che sono pronti a lavorare pure per un tozzo di pane. E quell’uomo ha un contratto per la raccolta delle pesche, o magari del cotone. Ora capisci? Più uomini riesce a mettere insieme, e più sono affamati, e meno li paga. E quando può piglia gente coi figli piccoli, perché così...
.... L’uomo lacero drizzò la schiena. “Vi volevo dire com’è che vanno le cose,” disse. “C’è voluto un anno per farmelo capire. C’è voluto che mi morivano due figli e mia moglie per farmelo capire. Ma non ve lo posso dire. Lo so, perché manco a me poteva dirmelo qualcuno. Non ve lo posso dire di quelle due creature sdraiate nella tenda colla pancia gonfia e a momenti manco più la pelle sulle ossa, a tremare come cagnolini, e io che correvo di qua e di là in cerca di lavoro... non per soldi, non per uno straccio di paga!” urlò. “Cristo Iddio, solo per una tazza di farina e un cucchiaio di sugna. E poi è arrivato il coroner. ‘I bambini sono morti per arresto cardiaco,’ ha detto. L’ha scritto sul suo pezzo di carta. Tremavano, vi dico, e avevano la pancia gonfia come una vescica di maiale.”...."

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