"È ora di farla finita con tutte queste idee esaltate, bisogna tornare alla ragione. Tutto questo, l'estero e tutta questa vostra Europa, non è altro che una chimera... si rammenti delle mie parole, e se ne accorgerà lei stesso!" aveva concluso in tono addirittura indignato Lizavèta Prokòf'evna, al momento di congedarsi da Evgènij Pàvlovič.

sabato 17 settembre 2016

Euro, Costituzione, sovranità: un percorso politico alternativo




E' luogo comune molto diffuso e assolutamente privo di fondamento quello che tenta di attribuire a tutti gli oppositori dell’euro, la tesi per cui una semplice uscita dalla moneta unica risolverebbe ogni problema economico. Sarebbe da sciocchi il solo pensarlo, basterebbe leggersi, per esempio, Il tramonto dell’Euro” del 2011 (!!!) di Alberto Bagnai per avere una risposta ben più che esauriente, o per altri versi "La Costituzione nella palude" di Luciano Barra Caracciolo.

Proverò, però, a dare un contributo sintetico per un percorso di massima, che non ha la pretesa comunque di voler essere esaustivo, ma che nella sua parzialità, parta dal capovolgimento del paradigma del pensiero unico dominante: “più Mercato e meno Stato” ed evidenzi alcuni punti essenziali, che ritengo imprescindibili. 

Premetto che, tra l’altro, potremmo trovarci entro breve a “subire” un’uscita dall’euro, a prescindere dalla nostra volontà, infatti, i sempre più insostenibili squilibri di carattere economico - finanziario rendono più vicina questa possibilità.

Sarebbe necessario e urgente quindi a questo punto preoccuparsi di formalizzare un programma politico, che vada ben oltre l’abbandono della moneta unica e della costruzione imperialista dell’Unione europea.

L’italexit è un prerequisito essenziale, non è però sufficiente da solo a poter mettere in moto un percorso reale di trasformazione finalizzato alla riappropriazione della sovranità democratica.

Non sto parlando, si badi bene, di semplice strategia d’uscita a sinistra. Ma di un nuovo patto sociale traversale tra forze democratiche e produttive, per far fronte alle macerie causate da decenni di Unione europea.

Un programma politico serio e coerente dovrebbe prevedere una concatenazione di passaggi essenziali, collegati da un filo logico intrinsecamente indissolubile, avendo come punto di riferimento la Costituzione della Repubblica Italiana.
Alla riacquisizione della sovranità monetaria e all’indipendenza nazionale e politica, quindi, dovrebbe seguire immediatamente il ripristino del controllo da parte dello Stato sulla Banca centrale, che riconsegni a Bankitalia anche il suo ruolo di acquirente di ultima istanza. Insomma, la ricomposizione del famoso “divorzio”.

Ancora sul fronte bancario:

- razionalizzazione del sistema e netta separazione tra banche commerciali e banche di investimento, al fine di contenere la speculazione sulla falsariga della legge bancaria USA del 1933 detta Glass-Steagall Act

A quel punto, il percorso di sovranità monetaria sarà veramente posto in essere e potremo finalmente trovare un senso compiuto alla necessità della flessibilità della valuta.

Ma oltre alla moneta, c’è molto altro.

Sul fronte degli investimenti:

- finanziare il rilancio degli investimenti interni stimolando lo sviluppo della domanda aggregata e di conseguenza favorire la crescita economica. Che, è bene ricordarlo ai decrescisti, non corrisponde necessariamente alla crescita della produzione dei beni fisici, anzi l’intensificarsi di questa, nel momento in cui vengono praticate politiche dal lato dell’offerta, porta a risultati contrari alla reale crescita economica. 

È una decrescita imposta e non liberamente scelta e, in questo senso, con stretti legami col sistema mercantilista, basata sui sacrifici e sull’impoverimento delle classi subalterne. Consiglierei di fare qualche piccolo studio di macroeconomia in più per capire, prima di lasciarsi andare ad analisi superficiali e fantasiose (la stessa confusione la si fa col concetto di PIL).

- puntare decisamente su politiche dal lato della domanda interna, per incentivare l’occupazione, con investimenti a favore delle nostre imprese, quelle che non delocalizzano, soprattutto a favore delle PMI, e per incentivare e di molto la spesa pubblica, soprattutto dal lato della spesa sociale: sanità, scuola, servizi sociali, assistenza, infrastrutture, messa in sicurezza del territorio, tutela dell’ambiente. Anche attraverso la ripubblicizzazione (vera) dei settori essenziali: acqua, energia, comunicazioni, trasporti, cultura, raccolta e trattamento dei rifiuti.
 
Sul fronte del lavoro:

- ridare piena dignità ai salari, con gli aumenti necessari, legandoli altresì ai prezzi e all’inflazione. E poi, internalizzazione e stabilizzazione del precariato e abolizione del Jobs Act, ritornando alla piena attuazione dello Statuto dei lavoratori, investendo anche sulla sicurezza sul lavoro, fissando anche controlli periodici certi effettuati dalle strutture pubbliche preposte, o per richiesta delle Organizzazione sindacali e dei lavoratori stessi.


Nel ribadire il presupposto irrinunciabile della tutela del lavoro, non si può non arrivare all’abolizione della legge Fornero, con il conseguente abbassamento dell’età pensionabile e la completa reintroduzione del sistema retributivo. Ciò permetterebbe anche l’immissione di nuove e giovani forze all’interno del mercato del lavoro, contribuendo ulteriormente alla lotta alla disoccupazione.

La dignitosa e giusta retribuzione non è solo una questione di mero carattere etico (il che dovrebbe solo per questo bastare), ma costituisce la spinta propulsiva all’incentivazione della domanda di beni e servizi, che ha come automatica conseguenza una sana ed evidente crescita.


 
Tutto ciò nel pieno e completo rispetto dell’attuazione della nostra Costituzione (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa….” Art. 36), il che vorrebbe dire depurarla anche dell’obbrobrio del pareggio di bilancio, ridando totale dignità ai diritti sociali che hanno la priorità su qualsiasi paradigma legato alla supremazia dei profitti.
 
E’ bene ricordare, però, che non sarà possibile realizzare un programma del genere, senza l’abbattimento del vincolo esterno, che impone politiche economiche asimmetriche, dettate al nostro Paese da Trattati totalmente incompatibili con la nostra Costituzione, e che legittimano i maggiordomi italici a recarsi a chiedere col cappello in mano i NOSTRI soldi a personaggi che non sanno nulla del nostro Paese (e che sanno anche ben poco dei loro), nel dispiegarsi di una paradossale farsa pirandelliana tra dinieghi, piccole concessioni, ricatti, procedure di infrazione e relative sanzioni. 
Un’altra Europa è impossibile.
L’abbattimento del vincolo esterno riconsegnerebbe anche un minimo di dignità alla politica elettorale e alla politica tout court, oggi quasi completamente appiattita e/o subalterna al pensiero unico neoliberista. 

Solo dopo sarà possibile tornare a parlare di nuova cooperazione tra popoli e di un’Europa dove nazioni sovrane abbiano pari dignità, una cooperazione fondata su un’autentica solidarietà e non sulla assurda competitività di Maastricht

Tutto questo può apparire come un’utopia. Ma non perché tecnicamente irrealizzabile. Si fonda su dati di fatto concreti, come conseguenza a ciò a cui si ispira la Carta costituzionale, e che è stato già realizzato parzialmente e a corrente alternata, sin dal dopoguerra, e in particolare nei decenni ‘60 e ‘70 del secolo scorso. Si chiama Stato sociale. Ciò che invece non sta né in cielo né in terra sono le costruzioni teoriche immaginarie da lungo e lunghissimo periodo (quando saremo tutti morti), nelle tante loro varianti, che hanno come unico scopo quello di distrarre, far perdere tempo e dare praticamente, più o meno involontariamente, un sostegno alla decostruzione ordoliberista.
Per non parlare di chi ha rinunciato ad un visione complessiva a favore di una più settoriale da associazionismo di base, per quanto possa essere lodevole e virtuosa, ma a cui il potere concede volentieri piccole aree autoreferenziali, o da conflitto per il conflitto, nella coazione a ripetere vecchi schemi pseudo antagonisti.

 


E’ purtroppo ad oggi, quindi, un’utopia in quanto nessuna forza “politica” attuale ha la capacità oggettiva di uscire dalla gabbia, perché di fatto non riconosce la gabbia, sia per questioni di interesse di parte, sia per cecità ideologica, sia per bene che vada perché vittima dell’eterogenesi dei fini o di narrazioni qualunquistiche che nulla o poco hanno a che vedere con le vere cause della crisi.

La vittoria del NO alla controriforma renziana potrebbe però essere un nuovo inizio, attraverso il quale cominciare almeno a riconoscere la gabbia.




Oltre alle testimonianze video e agli articoli linkati nel testo del post, seguono alcuni ulteriori consigli di lettura e di ascolto:










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