"È ora di farla finita con tutte queste idee esaltate, bisogna tornare alla ragione. Tutto questo, l'estero e tutta questa vostra Europa, non è altro che una chimera... si rammenti delle mie parole, e se ne accorgerà lei stesso!" aveva concluso in tono addirittura indignato Lizavèta Prokòf'evna, al momento di congedarsi da Evgènij Pàvlovič.

mercoledì 7 settembre 2016

Il mito della Meritocrazia



Corruzione, autorazzismo, sprechi e mancanza di meritocrazia, questi sono tra gli argomenti preferiti dalla propaganda dell'odierno minculpop. Spesso trattati insieme, in una sorta di miscela caustica, buona per tutti i palati. Gusci svuotati da ogni significato oggettivo, diventano strumenti di distrazione di massa funzionali ad una narrazione del potere mercatista, che tenga lontano dalle vere cause della crisi e dell'assoggettamento delle classi subalterne.
Si prenda ad esempio la quaestio sulla meritocrazia. In un capovolgimento di paradigma, si fa credere che questa sia assente e che invece di essere un disvalore, sia una delle cose da cercare col massimo impegno, che la sua assenza sia una dei motivi di degenerazione della nostra società, quando invece la meritocrazia, come d'altronde la corruzione, è sempre esistita.
Trova la sua ragion d'essere nella guerra tra poveri, nella precarietà (esistenziale e lavorativa) sempre più diffusa, ognuno preso dalla sua sfera individuale, convinto di essere vittima dell'ingiustizia e della mancanza di valorizzazione delle proprie capacità. In una corsa verso l'arrampicamento sociale e nell'annullamento di ogni sentimento di solidarietà collettiva.
Quando invece la meritocrazia è tutt'altro che assente, crea discriminazione, ed è applicata con criteri autoritari propri della società di appartenenza, vive nei rapporti di produzione e nelle regole indiscriminate stabilite dalle élite. E' il predisporsi ad accettare lo schiavismo, purché si riconosca il merito.
Oltre ad essere funzionale al progressivo affermarsi della tecnocrazia, in luogo della democrazia.
Ma al contrario delle storielle sulla corruzione, quella sulla meritocrazia è molto più pervasiva, perché la prima si fonda anche sul senso di colpa, ben funzionale esso stesso alla riproduzione del totalitarismo. In fondo ognuno può essere vittima innocente della giustizia (come il Josef K. del "Processo di Kafka"), ognuno, in cuor suo, sente di avere sempre qualcosa da temere, anche se poi i corrotti sono sempre gli altri.
L'assenza di meritocrazia è invece ingiustizia pura e "mi" colpisce preferendo chi non lo merita. Ognuno di noi sente di essere più meritevole di altri e l'unica solidarietà che crea è una distorsione di questo valore: sono solidale solo nei confronti di quei soggetti (pochissimi) che ce l'hanno fatta e in cui è possibile potermi riconoscere. Ma pure in questo caso più che solidarietà, è invidia che rischia di trasformarsi di nuovo in odio. 
Per approfondire consiglio i notevoli "Appunti di meritocrazia" del Pedante.

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